Durante il primo o i primi incontri si stabilisce insieme qual è il tipo di intervento più indicato.
“Insieme” significa che il Cliente, con la sua storia e la sua conoscenza di sè, e il Professionista, con il suo bagaglio di esperienza e di competenze, dopo un colloquio iniziale si confrontano sulla decisione rispetto al percorso più opportuno da intraprendere.
Aree di Intervento Psicologico:
L’elenco non è esaustivo.
Può capitare inoltre di riconoscersi in una o più categorie, questo perché l’essere umano è un’entità complessa che può mostrare un buon funzionamento in alcune aree insieme a piccoli o grandi disagi in altri ambiti della sua vita.
Se la problematica che si desidera risolvere non è presente in questo elenco, sono disponibile per informazioni.
“As a therapist, I hold on the vision of your possible future even
when you are in so much pain you cannot see beyond today.
I wait patiently for the day
when you can see the beauty inside yourself
that i saw from the first day we met”.
Stress e ansia sono due stati psicologici che, spesso, vengono sovrapposti e confusi, credendo erroneamente che siano causati dai medesimi fattori, o che siano sinonimi.
Dall’inizio della pandemia, si è molto parlato del disagio psicologico, di stress e ansia causati dalle preoccupazioni attuali o dalle restrizioni dovute al periodo, e delle risorse necessarie per affrontarle e per reagire con resilienza.
Secondo alcuni recenti studi riportati dal Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, il 44% della popolazione italiana presenta attualmente elevati livelli di stress (80-100 su 100), mentre circa l’82% dei genitori ha rilevato un disagio psicologico nei propri figli (“molto pesante” in un caso su 4). La metà degli intervistati ha segnalato un livello di stress soggettivo crescente.
Ecco, quindi, quali sono le differenze che intercorrono tra questi due concetti e come poterli combattere in maniera efficace quando, da occasionali e funzionali, diventano cronici e invalidanti.
Cosa provoca STRESS e ANSIA?
Anche se si tratta di termini che le persone tendono a confondere e sovrapporre, stress e ansia possono avere cause e manifestazioni differenti. Vediamo cosa hanno in comune e per cosa invece di distinguono.
Le cause dello STRESS possono essere facilmente identificabili da parte del soggetto, a differenza di quanto accade per l’ansia: le situazioni stressanti possono essere infatti ricondotte a un eccesso di lavoro, a conflitti personali o professionali, e ad impegni quotidiani che appesantiscono il carico mentale.
Le sensazioni che affliggono coloro che affrontano un periodo particolarmente stressante sono di frustrazione, stanchezza e di nervosismo strettamente collegati a eventi o situazioni specifiche: il nesso di causa-effetto è molto diretto e può essere identificato in maniera precisa anche dalla persona stessa. Lo stress è definito infatti come una risposta psicofisica dell’organismo a fronte di incarichi, compiti o richieste della vita quotidiana che vengono percepite come eccessive o talvolta soverchianti.
Lo stress può essere definito quindi come una preoccupazione fortemente ancorata ad una situazione contingente, causata da eventi esterni. Di conseguenza, quando la circostanza stressante nel presente viene meno, generalmente si riduce o scompare del tutto anche lo stress collegato.
L’ANSIA, a differenza dello stress, può essere considerata come uno stato diffuso di inquietudine, apprensione o paura che permane anche quando non è presente una componente contingente: pertanto può non essere così immediato individuare in maniera autonoma le cause dell’ansia, e il perché ci sentiamo ansiosi. Questo insieme di emozioni negative può essere accompagnato da manifestazioni fisiche come sudorazione, tremori, fame d’aria, tachicardia, parestesie, vertigini, insonnia e sensazioni disturbanti del tratto gastrointestinale.
In linea generale si può affermare che l’ansia è spesso una risposta preventiva a determinate situazioni: la persona, infatti, prova apprensione per qualcosa di negativo che potrebbe accadere in futuro, ma che ancora non si è verificato (come ad esempio si sperimenta nell’ansia da prestazione o nell’ansia anticipatoria).
In questo senso la paura per ciò che deve ancora accadere è una componente frequentemente riscontrata in coloro che soffrono di ansia cronica. Talvolta, queste sensazioni possono sconfinare in un’altra condizione di disagio in cui si riscontra ansia generalizzata scatenata da fattori interni, e sono gli attacchi di panico.
Quando stress e ansia fanno preoccupare?
Lo stress e l’ansia sono due stati psicologici che, in condizioni ordinarie, possono essere gestiti dalla persona senza che diventino un grosso ostacolo al normale svolgimento della propria quotidianità. In particolare, bisogna tenere presente che l’eustress (ossia lo stress positivo) non può essere considerato nocivo in senso assoluto, ma come una “dose extra” di energia e di motivazione che spinge all’azione.
Allo stesso modo anche l’ANSIA, se presente a livelli accettabili e non paralizzanti, non può essere considerata del tutto negativa, dal momento che un leggero stato di apprensione prepara naturalmente il nostro organismo all’azione. Infatti, sia l’ansia sia lo stress, dal punto di vista biologico, comportano un aumento della produzione di adrenalina e della frequenza cardiaca: questa attivazione è utile, entro certi limiti, per reagire e risolvere i problemi, e per concentrarsi.
In particolare, se l’ansia non supera un certo livello, può addirittura essere un aiuto nel miglioramento delle performance, come ci mostra il diagramma della “curva a U rovesciata” dell’ansia (legge di Yerkes e Dodson): la prestazione è al suo picco quando il livello di attivazione/eccitazione è ottimale. Se viene superata una certa soglia però, il rendimento cala: si può perdere la concentrazione fino ad andare in tilt o essere sopraffatti da questo eccesso di attivazione, compromettendo così la resa, nelle azioni che compiamo o nelle piccole o grandi sfide della vita. (Proviamo a pensare, per esempio, a quando dobbiamo sostenere un esame o una competizione sportiva ma siamo troppo agitati: non riusciamo a dare il nostro meglio, commettiamo errori o non ci “vengono le parole”).
Anche per quanto riguarda lo STRESS, una ricerca del 2013 della Standford University ha rilevato come un’elevata sensazione di stress era riscontrabile in persone che sentivano di vivere una vita significativa – ovvero coloro che avevano la percezione di perseguire degli scopi, di avere degli obiettivi importanti nella vita, dei progetti sfidanti, in ambito familiare o lavorativo. Non a caso, chi è nell’età della pensione è molto più a rischio di incorrere in depressione, rispetto al periodo di attività lavorativa. In sostanza: se qualcosa ci stressa molto e ci fa molto agitare, significa anche che è molto importante per noi.
Quando questi stati, che dovrebbero essere momentanei e transitori, diventano cronici, è opportuno rivolgersi a chi può offrire un supporto qualificato.
L’attacco di panico si può definire come un’ondata di intensa paura, ansia o malessere che si manifesta all’improvviso ed è accompagnato da sintomi fisici (dovuti all’attivazione del sistema nervoso simpatico – fame d’aria o dispnea, nodo in gola o sensazione di corpo estraneo, asfissia, dolore al petto, palpitazioni, tremori, vertigini, torpore, formicolii, sensazione di estraneità) e/o emotivi.
L’insorgenza – spesso improvvisa – può avvenire sia a partire da uno stato di calma, sia da uno stato ansioso. Il suo picco massimo viene raggiunto in pochi minuti (circa dieci).
Il disturbo di panico presuppone frequenti attacchi di panico che causano un’intensa ed eccessiva preoccupazione per attacchi futuri e/o modifiche del comportamento finalizzate ad evitare le situazioni potenzialmente rischiose che potrebbero innescare una crisi.
Si ha paura o terrore, ma non si sa bene di cosa. Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive spesso come un’esperienza terribile ed estenuante, dove si sperimenta la sensazione di impazzire o perdere il controllo, associata ad un senso di catastrofe o morte imminente. Si tratta quindi di sensazioni molto intense e spesso invalidanti.
Il disagio generato è spesso accompagnato da sintomi depressivi, così come da vissuti di vergogna e dal timore del giudizio: si teme che il malessere sia percepito dalle altre persone favorendo un’immagine di sé “debole”.
Poiché i sintomi interessano molti organi vitali e dato che, durante un attacco di panico, la persona ha difficoltà a pensare lucidamente, si preoccupa spesso di essere affetta da gravi patologie cardiache, polmonari o cerebrali. Per tale motivo, le persone si rivolgono, comprensibilmente e ripetutamente, al medico di base o al pronto soccorso (“Avrò un infarto”, “Ora svengo”, “Morirò”). Sebbene gli stati di panico siano talvolta molto fastidiosi, spesso insopportabili, non sono tuttavia pericolosi.
Ricordiamo però che, prima di fare una diagnosi di Disturbo di Panico, è opportuno che vengono escluse cause o patologie mediche.
Sfortunatamente, spesso anche una rassicurazione di tipo medico riguardo all’esclusione di problemi o rischi organici, non tranquillizza il soggetto e non riesce a placare le preoccupazioni inerenti le crisi di panico.
Alcuni stati di panico si presentano in risposta ad una specifica situazione o condizione (ad esempio, nelle fobie specifiche, l’oggetto fobico può costituire uno stimolo in grado di provocare un attacco di panico). In altri casi, l’attacco di panico insorge senza una causa scatenante apparente.
Il primo attacco di panico improvviso è generalmente inaspettato, ossia compare come un fulmine “a ciel sereno”: talvolta quando l’individuo si sta rilassando o addirittura durante il sonno (attacchi di panico notturni); il soggetto si spaventa terribilmente e, spesso, ricorre al pronto soccorso. Poi possono divenire più prevedibili e/o frequenti.
A seconda dell’intensità dei sintomi, le crisi di panico possono presentarsi lievi (piccoli attacchi di panico) o forti (intensi, travolgenti e soverchianti).
L’attacco di panico ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito entro 10 minuti o meno) e dura circa 20 minuti (ma a volte molto meno o di più). Durante questo intervallo di tempo i livelli di ansia sono molto forti e l’individuo è convinto che sia a rischio la propria incolumità. Per questa ragione, le persone che ne soffrono, devono ricordare che la crisi, per quanto terribile, rientrerà (in tempi spesso brevi).
La frequenza con cui si presentano i sintomi del panico determina, in genere, la gravità del disturbo e può variare notevolmente. Alcuni soggetti presentano, infatti, crisi di panico continui ogni settimana, o addirittura ogni giorno per mesi, mentre altri manifestano numerosi episodi quotidiani, seguiti da settimane o mesi di remissione o con attacchi meno frequenti (ad esempio, due ogni mese) per anni.
Cause degli attacchi di panico:
Talvolta si usano indistintamente i termini Attacco di Panico e attacco d’ansia, anche se si tratta di due situazioni diverse pur facendo parte della stessa “famiglia” di sintomi psicologici. Per diagnosticare un Attacco di Panico devono presentarsi almeno quattro dei sintomi indicati nel DSM-5, seguiti da una o entrambe le condizioni elencate precedentemente.
Al contrario, gli attacchi di ansia non sono specificatamente definiti come diagnosi nel DSM-5, dunque il termine va interpretato all’interno della soggettività dell’individuo. In linea di massima, l’apice dei sintomi che derivano dall’essere in uno stato di ansia (ad esempio, aumento della frequenza cardiaca, fiato corto, senso di irrequietezza, difficoltà di concentrazione, ecc.) può sembrare un “attacco”, ma i sintomi sono meno intensi rispetto a quelli esperiti durante il picco di un Attacco di Panico: esso è riconoscibile e non lascia dubbi proprio per la sua intensità.
Vi sono fattori genetici e ambientali che possono contribuire alla costituzione di una sorta di vulnerabilità all’ansia.
In tutti questi casi, una buona psicoterapia potrà ricostruire l’importanza e il ruolo di tutti questi fattori.
Se non abbiamo acquisito infatti le capacità di far fronte alle difficoltà o se ci siamo convinti di non esserne in grado, lo stress che possiamo incontrare in determinate fasi di vita può sembrare intollerabile. Ecco allora che alcuni fattori stressanti possono fungere da catalizzatore, costituendo dei fattori di rischio o precipitanti per lo sviluppo di un attacco di panico.
Tra i fattori stressanti troviamo:
Questi fattori possono diventare quindi eventi scatenanti, o fattori precipitanti per l’insorgere di un disturbo da attacchi di panico.
Esiste, naturalmente, anche l’attacco di panico da stress, ovvero quando la causa della crisi di panico è lo stress stesso: per esempio sul lavoro, quando le incombenze e la pressione sembrano insormontabili e soverchianti.
A complicare ulteriormente il circolo vizioso, dopo il primo attacco, vi sono dei fattori che mantengono e alimentano il problema: si tratta di strategie che, sebbene producano un sollievo nell’immediato, sortiscono nel tempo l’effetto opposto, ossia frenano l’evoluzione e ostacolano la guarigione, come se si provasse a spegnere un fuoco con la benzina.
I principali fattori di mantenimento sono:
Queste strategie, che risolvono il problema nell’immediato, contribuiscono però a ridurre progressivamente il campo di azione, e la zona di comfort può diventare sempre più stretta e limitare le possibilità d’azione.
In particolare, prestare attenzione a tutti i possibili segnali corporei che potrebbero scatenare l’attacco di panico porterà ad un abbassamento della soglia sensoriale e il soggetto le percepirà più facilmente e più intensamente. La persona le interpreta quindi un’amplificazione della sensazione, invece che come un effetto del fatto che ci si stia ponendo attenzione.
POST-attacco di panico: cosa succede dopo?
L’attacco di panico va spontaneamente in remissione: i sintomi infatti dopo circa una ventina di minuti si dissolvono lasciando il soggetto in uno stato di profondo smarrimento e agitazione, stanchezza e spossatezza.
I soggetti con Disturbo di Panico mostrano successivamente caratteristici pensieri o preoccupazioni sulle conseguenze degli stati di panico generando un circolo vizioso di ansia e panico.
A seguito del primo attacco di panico improvviso, vissuto come un’esperienza terribile e inaspettata, si apprende ad avere “paura della paura” sviluppando una ansia anticipatoria di fronte alla possibilità di affrontare situazioni temute o rispetto all’eventualità di avere un altro attacco, alimentando il sintomo.
Il paziente si trova presto coinvolto in un circolo vizioso, che porta la persona che lo sperimenta ad interpretare le sensazioni corporee o mentali, legate all’attivazione fisiologica e adrenergica (e di per sé innocue), come molto pericolose, dandone un’interpretazione catastrofica (ad esempio, segno di morte o di pazzia, di perdita di controllo, di un attacco cardiaco, etc.).
La percezione spaventante può riguardare sensazioni fisiche e mentali inoffensive: esse sono spesso derivate non solo dall’ansia ma anche da altre emozioni o da stimoli di altra natura (caffeina, stanchezza, etc.). Tutto ciò può portare la persona ad allarmarsi ulteriormente, contribuendo ad incrementare l’intensità dell’ansia e delle sensazioni temute fino a culminare in un vero e proprio attacco di panico.
L’ansia anticipatoria è alla base dell’evitamento. Le persone con attacchi di panico evitano tutte le situazioni che ritengono possano causare loro una crisi, ad esempio:
Cercano quindi di mantenersi all’interno della propria zona di comfort, incorrendo nel rischio di ridurre progressivamente la propria autonomia personale. L’evitamento può essere associato anche alla procrastinazione, ovvero la tendenza a rimandare le attività che generano ansia.
Le condotte di evitamento possono causare una vera e propria Agorafobia, una delle conseguenze rischiose dell’Agorafobia è quella di limitare l’autonomia e rinunciare ad attività piacevoli e gratificanti a causa della paura.
TRATTAMENTO degli attacchi di panico:
Il trattamento dei disturbi di panico può avvalersi di un approccio terapeutico integrato che prevede interventi psicoterapici e farmacologici. Il tipo di trattamento può dipendere dalla gravità e dalla frequenza delle crisi di panico, oltre che dalla risposta del paziente alla terapia stessa. Il paziente risponde meglio alla terapia se comprende che il disturbo coinvolge meccanismi sia psicologici, sia fisici.
Il trattamento farmacologico può aiutare a prevenire o depotenziare i sintomi degli stati di panico. Tuttavia, senza la psicoterapia, i farmaci non possono agire sulle cause degli stati di panico. (Questo è un aspetto fondamentale da conoscere per aiutare le persone a preoccuparsi meno per le crisi future o a smettere di evitare le situazioni temute che causano gli attacchi di panico.)
La cura farmacologica dei sintomi degli attacchi di panico si basa fondamentalmente su due classi di farmaci: ansiolitici e antidepressivi, spesso impiegati in associazione.
N.B.: per la cura farmacologica dei sintomi degli attacchi di panico è necessario rivolgersi ad un medico che li prescriva, meglio se psichiatra o neurologo. L’autosomministrazione (fai da te) è assolutamente da evitare.
La psicoterapia è un elemento imprescindibile per la cura degli stati di panico. Sono efficaci diversi tipi di psicoterapia. In alcuni casi, il sintomo può avere una risoluzione in tempi brevi. In altri casi, sarà necessario un percorso ben più lungo, poiché l’attacco di panico può avere radici psicologiche molto profonde nella storia dell’individuo. Il fattore sempre importante è che con il terapeuta si costruisca un rapporto di fiducia e di alleanza per lavorare bene insieme verso il raggiungimento degli obiettivi.
L’obiettivo è quello di riorganizzare la propria vita interiore in modo più soddisfacente e armonico, più autentico, favorendo l’elaborazione delle cause più profonde dei conflitti. Questo permette al paziente di sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e degli altri nelle relazioni significative della propria vita.
Non si tratta quindi di “eliminare il sintomo” come talvolta le persone sperano. A differenza dell’approccio puramente medico, è fondamentale invece ascoltare i sintomi degli attacchi di panico per capire cosa stanno cercando di comunicare:
Si tratta naturalmente di domande scomode e talvolta difficili da porsi. Il sintomo però vuole essere ascoltato, e ce lo comunica talvolta con violenza, come avviene negli attacchi di panico. Cercare di eliminarlo senza attribuirgli un senso e una ragion d’essere non è l’approccio più efficace, e comporterebbe una riacutizzazione a distanza di qualche tempo.
Lo psicoterapeuta potrà accompagnare il paziente verso un percorso, spesso affascinante e straordinariamente avvincente, di conoscenza di sé. L’obiettivo sarà quello di raggiungere un nuovo equilibrio, una maggiore conoscenza e consapevolezza del proprio funzionamento, e di conseguenza una vita libera da sintomi.
Può capitare a tutti di aver sperimentato un attacco di panico o di soffrire d’ansia. Se credi di soffrirne contattami, offro percorsi terapeutici contro i disturbi d’ansia.
Secondo il DSM-5 sono due i più frequenti disturbi depressivi
La sintomatologia che accompagna questi disturbi depressivi può essere:
Anche se non è stata posta diagnosi e il disturbo non è conclamato, è ugualmente possibile soffrire di alcuni di questi sintomi. In questi casi puoi contattarmi e vedremo assieme come impostare la terapia.
Il Disturbo da stress post traumatico è caratterizzato dallo sviluppo di sintomi tipici che seguono l’esposizione a uno o più eventi traumatici. La sintomatologia prevede la presenza di
Se hai vissuto un evento traumatico, un lutto, una separazione, un incidente, un infortunio e hai difficoltà a tornare alla vita di prima, o se presenti i sintomi sopra elencati, non esitare a contattarmi. Offro percorsi di psicoterapia per fronteggiare, gestire ed uscire da questo stato.
Secondo il DSM-5 il DOC è caratterizzato da ossessioni e/o compulsioni che fanno consumare tempo alla persona causando forte disagio. Generalmente la persona che ne soffre sperimenta forte ansia accompagnata in alcuni casi a sensazioni di incompletezza e nervosismo almeno fino al momento in cui le cose non sembrano “giuste”.
Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti che sono vissuti come indesiderati e che creano forte ansia e disagio e per questo la persona tenta di ignorarli o sopprimerli attraverso la messa in atto di compulsioni, non riuscendoci.
Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi (es. riordinare, controllare, lavarsi le mani) o azioni mentali (es. contare, ripetere parole mentalmente, pregare) che un individuo si sente obbligato a compiere in risposta a un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente. Le compulsioni generalmente non sono collegate in modo realistico all’evento temuto.
Il contenuto delle ossessioni e delle compulsioni varia tra le persone, ma si possono evidenziare alcuni temi più comuni di altri: pulizia, ordine, pensieri proibiti.
Offro percorsi di terapia per chi soffre di ossessioni e comportamenti compulsivi.
Con il termine disagio psicologico intendiamo quella condizione in cui l’individuo si trova a vivere un momento di malessere e difficoltà personale che non si identifica come una patologia vera e propria, quanto piuttosto si caratterizza per un insieme di sintomi che sono generalmente sottosoglia. Se però tale condizione non viene adeguatamente inquadrata e presa in carico da uno psicologo potrebbe evolvere in una forma più complessa e profonda di disagio.
Alcune delle sensazioni che tipicamente vengono raccontate sono: malessere generalizzato, insoddisfazione, immobilità, confusione, dubbiosità, sensazione di non capire più chi si è e cosa si vuole dalla propria vita.
A volte il senso è chiaro e la persona ne è consapevole ma non sa come uscirne, altre volte invece non è comprensibile e non si riesce a trovare un significato valido al nuovo stato di malessere psicologico.
Questa condizione può verificarsi in ogni momento della vita e ad ogni età e può essere conseguenza (oppure no) di difficoltà di varia natura, di condizioni ambientali o di eventi della vita negativi e/o positivi.
Generalmente ciò accade a seguito di una modificazione/riduzione del senso dell’identità personale. Facciamo un esempio: cosa può accadere ad una persona che ha puntato tutto sulla carriera lavorativa e di punto in bianco perde il posto di lavoro? Ma altri esempi che possono “destabilizzare l’equilibrio psicologico” di una persona possono essere: le modifiche dell’assetto familiare (separazione/ divorzio, matrimonio, nascita di un figlio), il raggiungimento di un obiettivo tanto desiderato, la necessità di accettare delle condizioni piuttosto che altre, la sensazione di sentirsi esclusi, etc..
Lo psicologo può essere d’aiuto nel momento in cui offrendo una lettura di senso degli avvenimenti di vita dell’individuo dona una differente possibilità di interpretare la situazione. Ciò permette alla persona di mettere in campo le risorse più adeguate per migliorare da un lato la comprensione, dall’altro per intervenire nel modo più appropriato ed efficace.
Se ti ritrovi nella condizione sopra descritta, puoi contattarmi; decideremo assieme quale percorso fa più al caso tuo.
Le condizioni definite ‘psicosomatiche’ sono caratterizzate dalla presenza di sintomi fisici/corporei senza però che vi sia la presenza di un riscontro chiaro ed oggettivo da parte del medico. L’assenza di una spiegazione medica fa sì che non si possa giungere ad una chiara diagnosi di malattia.
La persona che soffre di questi disturbi presenta elevati livelli di disagio (preoccupazione, ansia, disperazione), generale senso di affaticamento e stanchezza, e spesso sintomatologia dolorosa di tipo cronico.
La fibromialgia è una sindrome caratterizzata da dolore muscolo scheletrico cronico diffuso, associato frequentemente ad un ampio spettro di manifestazioni cliniche:
Non vi è alcun esame di laboratorio o radiologico che possa diagnosticare la fibromialgia, la diagnosi che viene fatta è esclusivamente clinica perché basata sulla presenza di dolore diffuso in combinazione con la presenza di tender points evocabili alla digitopressione.
Linee guida asseriscono che la terapia con il paziente fibromialgico debba prevedere un approccio terapeutico multidisciplinare e personalizzato, sia di tipo farmacologico che psicologico.
Secondo il World Health Organization (WHO) la cefalea è il sintomo di tutta una serie di disturbi neurobiologici molto comuni e largamente diffusi.
La definizione di cefalee comprende varie condizioni che possono essere di intensità, frequenza e durata diversa.
I tipi più frequenti sono la cefalea di tipo tensivo, l’emicrania, la cefalea a grappolo e le cefalee croniche.
La cefalea tensiva è caratterizzata da:
Tra i fattori scatenanti più frequenti vi sono:
Il paziente che soffre di questa patologia, presentando quindi non solo elementi di tipo somatico ma anche di tipo psicologico-emotivo, può beneficiare di una terapia sia di tipo farmacologico che psicologico.
Studi evidenziano come i sintomi presentano miglioramento all’aumento del benessere psico-fisico.
“Quando il dolore è cronico diviene la malattia stessa e tutte le attività quotidiane, le relazioni interpersonali, le emozioni, vengono profondamente sconvolte dalla convivenza con il dolore” (Loser, 2000).
Secondo l’International Association for the Study of Pain (IASP), per dolore s’intende: “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata a un danno tissutale attuale o potenziale o descritto come tale”.
Per dolore cronico: “un dolore che persiste più a lungo del corso naturale della guarigione che si associa a un particolare tipo di danno o di malattia”.
Secondo le più recenti linee guida, le persone che soffrono di dolore cronico beneficerebbero di interventi multidisciplinari, sia farmacologici che di tipo psicologico.
Un percorso psicologico può supportare infatti il paziente ad affrontare ad esempio le limitazioni conseguenti alla comparsa del dolore, favorendone l’accettazione e l’adattamento.
Inoltre un percorso psicoterapeutico può essere consigliato a fronte dell’insorgenza di vissuti particolarmente negativi, come ad esempio l’insorgenza di stati depressivi, ansiosi, o di attacchi di panico, dove l’elevato livello di disagio provato causa malessere e compromissione del funzionamento sociale, familiare e lavorativo.
Se soffri di dolore cronico o di una condizione di disagio provocata da sintomatologia fisica, contattami.
– Nell’Anoressia nervosa si ritrovano tre caratteristiche principali:
– Bulimia nervosa
Di solito le abbuffate avvengono in solitudine e il tipo e la quantità di cibo variano da persona a persona; ciò che le scatena generalmente è un’emozione negativa o una condizione personale stressante come ad esempio sentimenti di frustrazione, noia, insoddisfazione. Tipicamente il peso corporeo risulta essere nella norma.
– Binge eating
La caratteristica principale di questa condizione sono gli episodi di abbuffata che si presentano con una frequenza di almeno una volta alla settimana per tre mesi, senza però condotte compensatorie.
Le abbuffate creano un grande disagio, spesso ci si può sentire disgustati verso se stessi, depressi o molto in colpa; inoltre questi episodi avvengono in solitudine perché possono essere causa causa di imbarazzo.
Alcuni fattori scatenanti di questi comportamenti possono essere alcune emozioni negative, le restrizioni dietetiche, l’insoddisfazione rispetto al proprio corpo e al cibo, la noia. Il peso corporeo può essere nella sia nella norma sia sopra la norma.
Offro percorsi di terapia per chi soffre di disagio psicologico correlato alla sfera alimentare.
Secondo il DSM-5 i disturbi del sonno-veglia comprendono 10 gruppi di disturbi: insonnia, ipersonnolenza, narcolessia, disturbo da incubi, disturbi del sonno correlati alla respirazione, disturbi circadiani del ritmo sonno-veglia, disturbi comportamentali del sonno REM, disturbi dell’arousal del sonno non-REM, sindrome delle gambe senza riposo, disturbo del sonno indotto da sostanze.
Le persone che soffrono di queste condizioni lamentano spesso insoddisfazione riguardo alla qualità, la collocazione temporale è la durata del sonno. Lo stress e la compromissione delle attività diurne sono gli aspetti essenziali condivisi da tutti i disturbi del sonno-veglia.
I disturbi del sonno sono spesso accompagnati da depressione e ansia e, se persistenti, possono essere fattori di rischio per lo sviluppo successivo di disturbi mentali o per l’uso improprio di sostanze o farmaci.
È importante quindi per il trattamento di questi disturbi che l’approccio sia di tipo multidisciplinare e che tenga in considerazione sia condizioni mediche, sia neurologiche che psicologiche.
Se presenti difficoltà nel sonno, difficoltà di addormentamento, incubi ricorrenti, risvegli frequenti, non esitare a contattarmi. Troveremo assieme la miglior terapia per affrontare questa difficoltà.
Le cause che portano a difficoltà relazionali nella coppia sono generalmente multifattoriali e si intersecano tra loro: possono causare un effettivo malessere e se permangono nel tempo, possono portare alla rottura della relazione.
Ogni relazione si muove tra 2 estremi: utilitaristico e valoriale.
La componente utilitaristica si basa sullo scambio e sulla connessione con l’altro per ottenere dei benefici. Quella valoriale permette di condividere e intraprendere obiettivi comuni. Restare reciprocamente e apertamente connessi sono necessarie per costruire fiducia. A questo punto la stima reciproca diventa il motore principale della relazione.
Insorgono il più delle volte per mancanza di comunicazione o per divergenze rispetto agli orizzonti futuri; l’elemento cardine di una relazione di coppia sana e che funziona è infatti la condivisione di una progettualità comune.
Attraverso i colloqui di coppia sarà possibile mettere a fuoco e permettere una piena presa di consapevolezza di quelle che sono le difficoltà, le paure, i tradimenti, le insicurezze e i non-detti che hanno portato all’allontanamento dei partner nella coppia.
La terapia di coppia è d’aiuto nel momento in cui è in grado di risolvere l’empasse relazionale e diminuire il disagio ed il malessere provato dai partner, e questo può avvenire solo nel momento in cui entrambe le parti sentono la voglia di mettersi in gioco.
Offro consulenza e percorsi di terapia di coppia.
Il primo colloquio psicologico rappresenta la prima fase dell’incontro tra psicologo e paziente. Per essere più precisi, si dovrebbe parlare di “primi colloqui”, ovvero tre o quattro sedute di conoscenza, per delineare scopi, aspettative e obiettivi condivisi.
L’obiettivo principale del primo colloquio psicologico è valutare se la persona che si presenta può intraprendere un percorso psicologico, o di psicoterapia, con quel professionista. Il terapeuta deve infatti capire se, con le competenze che ha a disposizione, ritiene di poter essere di aiuto per quella persona. Può capitare infatti che, per vari motivi, il professionista consigli, in base alle informazioni raccolte, un altro tipo di percorso (magari farmacologico in aggiunta a quello terapeutico, o magari con un altro terapeuta più qualificato per quella specifica problematica).
Rappresenta il momento in cui il paziente e il terapeuta si incontrano e, l’uno con la consapevolezza della propria storia e la volontà di impegnarsi e mettersi in gioco, l’altro con le proprie competenze i propri strumenti, danno avvio ad una relazione terapeutica.
A cosa serve il primo colloquio psicologico:
Talvolta un primo colloquio non dà luogo all’avvio di una psicoterapia: può trattarsi infatti di un primo colloquio di consultazione, che si esaurisce in quei 50-60 minuti, a seconda della richiesta della persona e delle caratteristiche della domanda.
Cosa aspettarsi?
Il primo colloquio con lo psicologo può essere vissuto come fonte di ansia e di un certo imbarazzo. Alcune persone raccontano di avere fatto molta fatica per arrivare lì, o per trovare il coraggio di prenotarlo. Tutto questo è comprensibile: si tratta di un appuntamento importante che riguarda la cura di sé e del proprio benessere psicologico. Inoltre, lo psicologo era, fino a pochi minuti prima, un perfetto estraneo: se da un canto questo può facilitare l’esposizione delle proprie problematiche, dall’altro occorre tempo per stabilire la necessaria fiducia.
Durante il primo colloquio (o più) il paziente potrà raccontare liberamente tutto ciò che lo riguarda e che gli sembra importante. Il terapeuta generalmente pone alcune domande aperte per comprendere meglio alcuni aspetti, per guidare gentilmente la conversazione su alcuni argomenti, per raccogliere maggiori informazioni sui sintomi (l’esordio, il decorso, etc.), o per integrare informazioni mancanti.
Una parte fondamentale è quella dell’anamnesi psicologica, ovvero la raccolta della storia di vita, delle relazioni familiari, la storia lavorativa, contesto di vita, etc.
Non può mancare, inoltre, uno spazio in cui il paziente potrà porre le proprie domande, chiedere chiarimenti e parlare anche degli aspetti pratici, come quelli economici, gli accordi per gli appuntamenti successivi, etc.
N.B CODICE DEONTOLOGICO dello PSICOLOGO (Articolo 4)
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.
La durata e la frequenza delle sedute di un percorso psicologico o psicoterapeutico possono dipendere da molti fattori, che vanno discussi insieme nei primi colloqui preliminari, durante i quali vengono tenute in considerazione tutte le variabili della persona e del contesto, anche quelle pratiche. Durante il primo o i primi incontri si stabilisce quindi insieme qual è il tipo di intervento più indicato. “Insieme” significa che il Cliente, con la sua storia e la sua conoscenza di sé, e il Professionista, con il suo bagaglio di esperienza, di tecniche e di competenze, si confrontano sulla decisione rispetto al percorso più opportuno da intraprendere.
Costi da sostenere
Lo Psicologo o Psicoterapeuta fornirà delle prime informazioni telefonicamente. E durante il primo o i primi colloqui ci sarà modo di parlare nel dettaglio anche della variabile dell’impegno economico da sostenere.
Colloquio o percorso psicologico e Psicoterapia sono Prestazioni sanitarie, e in quanto tali le spese sono DETRAIBILI, purché appositamente documentate, al capitolo “spese mediche e sanitarie”, fino ad un tetto massimo di €15.493,71 all’anno. Il terapeuta deve rilasciare apposita fattura o parcella attestante l’importo della sua tariffa, i suoi dati fiscali e quelli di iscrizione all’Albo degli Psicologi. Non si possono infatti detrarre spese sanitarie per sedute svolte con persone non regolarmente iscritte all’Albo. Dal 1^ Gennaio 2020, le spese sanitarie con professionisti privati sono detraibili solo se viene effettuato un pagamento tracciabile (bonifico, assegno, POS etc.).
L’onere economico che un percorso psicologico o psicoterapeutico è impegnativo ma sostenibile. La decisione di intraprendere un percorso psicologico o psicoterapeutico può rappresentare una scelta impegnativa sia emotivamente, sia economicamente. Tale impegno varia in base alla durata del percorso e alla frequenza delle sedute. Per questa ragione la tariffa viene comunicata nel Consenso Informato durante il primo colloquio.
L’iniziativa di interpellare uno psicoterapeuta viene spesso frenata dalle preoccupazioni sui costi e la durata della psicoterapia e può indurre alcuni a scegliere strade alternative, magari meno impegnative, ma spesso non altrettanto efficaci. Indubbiamente la scelta di intraprendere un percorso psicologico può risultare impegnativa da vari punti di vista, tra cui quelli menzionati, ma vanno chiariti molti aspetti in merito ad essi. Anche per sfatare alcuni miti circa le terapie interminabili, magari alimentati da cinema e TV.
Iniziamo con il dire che una terapia non è e non deve essere interminabile. Il suo scopo non è quello di legare indefinitamente la persona al terapeuta. Al contrario, il fine è quello di aiutarla ad esprimere tutto il suo potenziale: per potersi muovere nel mondo in maniera autonoma e libera da sintomi, e capace di relazioni soddisfacenti. Per poter raggiungere questo obiettivo è necessario impostare un piano di intervento la cui durata può essere però molto variabile da caso a caso.
Si tratta di domande legittime che spesso vengono poste ad una psicoterapeuta nelle fasi iniziali del lavoro con un paziente. La risposta più immediata da parte di un professionista è: il tempo necessario! Ma la questione è, naturalmente, più complessa di così e vanno tenuti in considerazione diversi fattori. Di sicuro la psicoterapia NON è infinita!
E’ necessario avere pazienza, rispettarsi ed essere gentili e compassionevoli con sè stessi, sempre, ma soprattutto durante un percorso di psicoterapia.
Siamo abituati ad un mondo che funziona velocemente. Grazie alla digitalizzazione e alla tecnologia corriamo, rincorriamo le scadenze, abbiamo ritmi elevatissimi, siamo multitasking nel fare più cose contemporaneamente, e vogliamo i risultati subito.
Avere pazienza durante il percorso di psicoterapia: perché è importante?
Dobbiamo pensare che un sintomo psichico, generalmente, ci mette molto tempo a svilupparsi, e lo fa in maniera graduale. Man mano che facciamo la nostra vita, incorporiamo nella nostra memoria informazioni, emozioni, immagini, pensieri, sensazioni fisiche come elementi dell’esperienza. Queste costellazioni di vissuti si stratificano e vanno a creare una rete molto articolata nel nostro sistema nervoso e nella nostra memoria.
Talvolta, quando le esperienze negative si sommano e l’impatto emotivo è forte, le reti possono iniziare a presentare un’attivazione disfunzionale e talvolta patologica.
Quando indago sull’esordio dei sintomi, spesso la risposta si presenta così: “Soffro di ansia da una vita!” oppure: “Gli attacchi di panico sono cominciati ad agosto, ma in effetti anche l’anno precedente ero molto stressato, e poi, ora che mi ci fa pensare, ricordo che anche mia madre ne soffriva, da giovane…”
E ancora: “Ho avuto un brutto incidente stradale molti anni fa, pensavo di averlo superato, ma a volte quando sono in autostrada inizio a sudare…”.
I sintomi psicologici sono multifattoriali, e due persone diverse con lo stesso sintomo possono avere decorsi e cause scatenanti molto differenti, e il piano terapeutico deve essere necessariamente individualizzato e cucito sulla persona.
Occorre quindi pazienza per ricostruire, insieme al terapeuta: origini, cause, reazioni individuali, significati soggettivi, collegamenti, conflitti.
Siamo un’entità complessa: sia in termini ontogenetici (sviluppo dell’individuo), ma anche perché possono esserci resistenze, rimozioni e difese che proteggono alcune parti di noi, o che proteggono dal ricordo di alcune esperienze, spesso quando sono state traumatiche.
Queste problematiche vanno trattate (dal terapeuta e dal paziente) con rispetto e comprensione, magari anche con prudenza e delicatezza. E quindi con pazienza.
In questa fase ci saranno delle domande irrisolte, dei testi incomprensibili o confusi, che vanno decifrati e codificati. Le risposte, quindi, non potranno essere immediate.
In questa fase, l’amore per la verità, la curiosità su di sé e la passione per la propria storia sono una motivazione importantissima.
Quanto devo attendere prima di stare meglio? Quanto ci vorrà?
Se la persona ci ha messo trent’anni a strutturarsi per diventare quella che è, non ce ne vorranno altri trenta per arrivare ad un cambiamento soddisfacente, ma che un po’ di pazienza è necessaria.
Siamo abituati a pensare che il tempo dell’azione è contrapposto al tempo dell’attesa, e ci dimentichiamo che entrambi sono necessari e complementari per un cambiamento duraturo. C’è un tempo per agire, e c’è un tempo per fare sedimentare.
Questo avviene, se la terapia è condotta da un buon psicoterapeuta, con i tempi giusti e, ovviamente, nel rispetto dell’urgenza della risoluzione di un disagio che può essere anche molto doloroso per chi lo vive.
Lo psicoterapeuta dedica in genere una certa quantità di tempo, nella fase conoscitiva, proprio a costruirsi una mappa del funzionamento della persona. Il professionista lavora in questo modo al fine di poter progettare l’itinerario necessario al raggiungimento della meta o delle mete concordate con il paziente. Si parte da un’attenta analisi della domanda. Questa analisi può, in alcuni casi, portare anche una riformulazione della richiesta di aiuto, per poter definire insieme gli obiettivi desiderati. L’inquadramento diagnostico finalizzato alla comprensione della struttura di personalità soggiacente al sintomo o al disagio riportati consente, in seguito, di individuare la tipologia di intervento più adatta. E di indicare, presumibilmente, se si potrà trattare di un percorso più o meno impegnativo.
L’obiettivo o gli obiettivi del lavoro devono essere condivisi: insieme si definiscono le aree di criticità, e si stabilisce, nei limiti del possibile, l’ordine nel quale affrontarle e gli strumenti da utilizzare.
Quando la problematica è relativa a una situazione contingente e la struttura di fondo è armonica, può essere a volte sufficiente un ciclo di colloqui volto a fornire una diversa chiave di lettura degli eventi. Oppure può essere finalizzato a mettere a fuoco le risorse personali a cui attingere per superare l’impasse. Si tratta di consultazioni o percorsi di breve durata, in cui il focus non è modificare la struttura di base, ma imparare ad utilizzare meglio le risorse possedute.
Quando sono necessari tempi più lunghi?
Altre volte può invece essere necessario un lavoro di analisi e di elaborazione più approfondito, che incida sulla struttura di personalità, riorganizzandone gli elementi di base al fine di renderla più armonica e stabilmente diversa rispetto all’inizio del percorso. Va da sé che la tipologia di intervento richiesto va ad influire sulla durata, che, nell’ultimo caso, sarà ovviamente maggiore rispetto ai primi.
Anche quando vi sia una problematica di portata estesa, si può decidere di lavorare inizialmente su un solo aspetto o su un numero limitato di problematiche e non sulla personalità nel suo complesso, Questo fa propendere per un’ipotesi di una limitata durata della psicoterapia. Non è raro però che sia la persona stessa, una volta compresa la complessità delle dinamiche sottostanti al disagio “urgente”, a desiderare di proseguire gli incontri per comprendere più a fondo il proprio funzionamento. Conoscere sè stessi e la propria reale natura, i propri desideri, i propri schemi e meccanismi, rappresenta un’opportunità entusiasmante, che può far decidere di estendere il percorso oltre i confini di una breve durata della psicoterapia.
Il fattore realmente importante per definire la durata di una psicoterapia, di qualunque orientamento essa sia, deve rimanere il raggiungimento del benessere del paziente. Questo va perseguito con gli strumenti più idonei al suo specifico caso, usati per il tempo necessario e nei tempi giusti. Tutto ciò va affrontato sempre tenendo a mente che l’obiettivo ultimo del percorso psicoterapeutico è sempre la sua conclusione.
Anche se nel corso della terapia una persona può comprensibilmente e giustamente legarsi profondamente al proprio terapeuta, il rapporto che si crea con quest’ultimo deve sempre essere funzionale al processo di emancipazione e di indipendenza da lui. Nel momento in cui la terapia cessa di perseguire un obiettivo specifico, ma diventa solo una piacevole abitudine da cui si fatica a sottrarsi, essa cessa di essere terapeutica perché può ostacolare l’autonomia della persona.
La relazione terapeutica nasce infatti con uno scopo preciso, ovvero quello di aiutare la persona a individuare e sviluppare le sue risorse autonome. Si rischia altrimenti di attribuire alla relazione con il terapeuta, e non ai propri traguardi raggiunti, la possibilità di un maggiore benessere.
Nel momento in cui la persona sente di riuscire a camminare da sola il legame si può sciogliere, ferma restando la disponibilità del terapeuta a restare riferimento in caso di necessità future.
Quando un percorso volge al termine paziente e terapeuta lo sentono e possono decidere di dedicare un’ultima fase alla revisione del lavoro svolto: si tratta di un momento molto ricco ed emozionante.
Una seduta di psicoterapia in genere dura circa 50 minuti (dai 45/60 min a seconda del metodo di lavoro del terapeuta).
Ogni previsione che si fa invece rispetto alla durata complessiva di un percorso di psicoterapia non può, invece, che essere approssimativa. Infatti, per la natura stessa della psicoterapia, e in generale della mente, il suo svolgimento non è mai lineare, ma possono alternarsi momenti di rapido avanzamento ad altri di stallo o regressione temporanea.
Oltre che dal tipo di terapia, la durata di un percorso dipende anche da altre variabili, quali:
È tuttavia innegabile che per pervenire a cambiamenti strutturali e duraturi occorre del tempo e un po’ di pazienza. La nostra mente dà forma ai propri assetti nell’arco di svariati anni e non è pensabile immaginare di modificare i loro aspetti disfunzionali nel giro di poche sedute. Da questo punto di vista anche gli approcci terapeutici più concentrati sulla necessità di fornire soluzioni rapide, si sono col tempo attestati su durate della psicoterapia maggiori.
Una seduta di psicoterapia in genere dura circa 50 minuti (dai 45/60 min a seconda del metodo di lavoro del terapeuta).
Ogni previsione che si fa invece rispetto alla durata complessiva di un percorso di psicoterapia non può, invece, che essere approssimativa. Infatti, per la natura stessa della psicoterapia, e in generale della mente, il suo svolgimento non è mai lineare, ma possono alternarsi momenti di rapido avanzamento ad altri di stallo o regressione temporanea.
Oltre che dal tipo di terapia, la durata di un percorso dipende anche da altre variabili, quali:
È tuttavia innegabile che per pervenire a cambiamenti strutturali e duraturi occorre del tempo e un po’ di pazienza. La nostra mente dà forma ai propri assetti nell’arco di svariati anni e non è pensabile immaginare di modificare i loro aspetti disfunzionali nel giro di poche sedute. Da questo punto di vista anche gli approcci terapeutici più concentrati sulla necessità di fornire soluzioni rapide, si sono col tempo attestati su durate della psicoterapia maggiori.
Durante fasi critiche della vita, momenti di difficoltà o di sofferenza.
L’avvento di una crisi non è solo un ostacolo o un momento di impasse, ma rappresenta anche una preziosa opportunità di crescita e di evoluzione, se colta nel modo appropriato e con gli strumenti adeguati;
N.B. à CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI (Articolo 3)
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere sè stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.
Spesso le persone che si avvicinano ad una psicoterapia, magari come prima esperienza diretta, hanno una rappresentazione mentale di come funziona il percorso. Magari ci sono amici e conoscenti che ne hanno esperienza, oppure le informazioni raccolte possono provenire dai media, film, serie TV o libri che riportano in modo più o meno fedele quello che accade nella stanza di psicoterapia.
Talvolta i soggetti sono a conoscenza del fatto che vi sono molteplici approcci e orientamenti, ognuno con le sue specificità, che vengono poi declinate a seconda della personalità, della formazione e delle esperienze del singolo professionista.
Quando incontro una persona per la prima volta, chiedo di raccontare cosa lo/la ha portata ad essere lì proprio in quel momento della propria vita: spesso sono presenti eventi scatenanti che hanno creato dolore e fatica, o hanno scatenato l’esordio di un sintomo, oppure hanno acceso la consapevolezza di avere bisogno di un aiuto. Spesso emerge come, al di là dell’evento attuale scatenante, ci siano dei “precursori” nella storia, ovvero dei momenti in cui il soggetto ha sperimentato stati d’animo simili a quelli attuali.
Si avviano quindi una serie di colloqui preliminari (di solito mediamente quattro), che permettono alla persona di confermare il suo desiderio di iniziare un percorso, e di farlo con il professionista che ha incontrato. Il professionista, dal canto suo, avrà modo di raccogliere maggiori informazioni e quindi di valutare, secondo la sua esperienza, quale tipo di percorso sia il più indicato. Insieme, si concordano poi gli obiettivi e le aspettative, insieme alla cornice degli aspetti pratici (il cosiddetto setting) che “contiene” il lavoro, e che consiste negli accordi che riguardano la durata delle sedute, la frequenza, la continuità, gli aspetti economici, e le caratteristiche contraddistinguono la relazione particolare che intercorre tra paziente e terapeuta.
Aggiungo sempre che non c’è un modo giusto o sbagliato di “essere” nella stanza di psicoterapia, e che il paziente potrà portare tutto ciò che ritiene utile e importante. Questo materiale non sarà in alcun modo oggetto di giudizio, e sarà coperto dal segreto professionale.
A seconda delle caratteristiche della domanda e dei soggetti coinvolti, può essere indicato un percorso di accompagnamento in un periodo difficile della vita, oppure può essere confermata la motivazione a cominciare un percorso che vada più in profondità, quindi una vera e propria psicoterapia, generalmente a una o più sedute settimanali. Va da sé che maggiore è la frequenza, più si ha la possibilità di lavorare “a fuoco alto”. Questa decisione viene presa insieme.
Spiego sempre che il mio approccio non mira ad una modificazione dei comportamenti disfunzionali attraverso delle indicazioni pratiche. Il mio approccio prevede infatti di ricostruire le origini e la storia della sofferenza della persona, partendo dal presupposto che la psicoanalisi insegna: se vi è una comprensione e una risoluzione delle “cause” del sintomo, esso – al termine di un lavoro completo e approfondito – non dovrebbe aver più ragion d’essere.
Per questa ragione non è prevista la fornitura di “consigli”. Se mai, il paziente verrà aiutato ad includere nel suo pensiero nuovi punti di vista e nuove consapevolezze, che dovrebbero renderlo libero di prendere poi decisioni autonome, autentiche e conformi alla sua propria persona.
Come avviene per il corpo fisico, anche la mente ha delle caratteristiche di funzionamento che si assomigliano nella maggior parte degli esseri umani. Questo vale sia per i comportamenti adattivi, sia per quelli disfunzionali. Accade quindi che il nostro mondo interiore si organizzi secondo dinamiche a cui gli studiosi hanno dato un nome (le cosiddette “diagnosi”). La diagnosi (disturbo ansioso, dipendenza, disforia, disturbo di personalità…) non va però intesa come “etichetta” esaustiva e sufficiente per descrivere un SINTOMO. Il sintomo rappresenta infatti il modo migliore che la persona ha trovato per far fronte agli eventi di vita e relazionali in cui è stata coinvolta. Proprio per questa ragione, i sintomi non vanno semplicemente “eliminati” (come potrebbe fare il farmaco, ammesso che sia possibile), ma anzitutto compresi e messi in relazione con la storia di vita del soggetto, all’interno di una relazione di fiducia con un professionista preparato ed eticamente corretto, neutrale ma empatico.
Ogni persona che entra in terapia ha una storia che desidera dire, una che desidera tenere nascosta, e una storia che rivela inavvertitamente. – Joseph Lichtenberg, “Mestiere e Ispirazione”
Ci sono tuttavia casi in cui questi sentimenti diventano pervasivi e stabili e non si riesce a risollevarsi. In altri casi, essi possono apparire senza che siano motivati dalle situazioni esterne e tuttavia la sofferenza che si prova è più intensa e reale che mai.
Altri ancora possono essere affetti da disturbi fisici invalidanti ma non spiegabili da cause organiche e, dopo infinite visite ed esami diagnostici, si sentono dire che il loro disturbo è di natura psicogena (sindromi psicosomatiche).
In tutti questi casi ci si domanda chi e cosa possa aiutarci e può anche accadere che le persone intorno a noi ci suggeriscano di ricorrere ad un aiuto esperto.
Se per un malessere fisico si chiede aiuto al medico, per i malesseri di natura psicologica c’è molta più confusione su chi sia lo specialista giusto, specie perché vi è stato, negli ultimi anni, un proliferare di figure professionali dal profilo poco chiaro (coach, counselor, motivatori etc.) e questo non può che aumentare la confusione e il senso di incertezza.
Per capire a cosa serve la psicoterapia, vale la pena ricordare che lo psicologo è un professionista che ha conseguito una laurea quinquennale in psicologia (o laurea triennale più un biennio di specialistica) e che, dopo un tirocinio pratico della durata di un anno presso una struttura pubblica o privata accreditata, ha superato l’esame di stato per conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione e si è dunque potuto iscrivere all’Albo degli Psicologi della propria regione di appartenenza. Lo psicologo clinico è formato per attuare un’analisi della domanda d’aiuto, in seguito alla quale può decidere, se ritiene che la situazione non richieda un intervento più complesso, di attuare dei colloqui di sostegno alla persona per aiutarla a superare un momento di vita difficile o un’impasse nel percorso di crescita (in caso di soggetti in età evolutiva), focalizzando e potenziando le sue risorse.
Qualora invece il professionista psicologo valuti che la situazione comporta la necessità di un intervento più complesso e approfondito, perché, ad esempio vi è la presenza di sintomi quali ansia, attacchi di panico, fobie, alterazioni importanti del tono dell’umore, somatizzazioni etc. Oppure, quando l’origine delle difficoltà sperimentate rimandi a vissuti personali dolorosi o traumatici, lo psicologo sceglie generalmente di inviare la persona a uno psicoterapeuta, a meno che lui stesso non sia anche psicoterapeuta.
Lo psicoterapeuta ha completato il suo percorso formativo con la frequenza di una scuola di specializzazione quadriennale o quinquennale riconosciuta dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Questo ulteriore percorso è accompagnato da un tirocinio pratico svolto presso strutture accreditate e sotto la supervisione di psicoterapeuti esperti. La specializzazione in psicoterapia fornisce al professionista gli strumenti necessari a trattare il disturbo a partire da una comprensione e rielaborazione dei traumi vissuti e delle dinamiche conflittuali interne o interpersonali a causa delle quali si è strutturato il disagio. Vi sono numerose scuole di psicoterapia, facenti riferimento a differenti orientamenti teorici. Ciascuno utilizza approcci e strumenti differenti, anche se la base tecnica comune restano il colloquio clinico e la relazione terapeutica.
Un’ulteriore figura professionale rispetto alla quale si crea spesso confusione è rappresentata dallo psichiatra. Questo è un laureato in medicina e chirurgia che ha effettuato un percorso di specializzazione in psichiatria. Il suo approccio al disagio psicologico ha in genere carattere più organicistico, ovvero si occupa prevalentemente degli aspetti biochimici del funzionamento psichico, che tratta attraverso un approccio farmacologico, anche se, in genere, suggerisce l’integrazione tra il trattamento farmacologico e quello psicoterapeutico.
Va detto, a tale proposito, che, se il supporto farmacologico si può rivelare a volte utile e in alcuni casi indispensabile, esso può agire solo a livello di manifestazione sintomatologica, ma non può incidere sulle cause che hanno portato allo sviluppo del sintomo, cosa che può essere fatta solo attraverso la psicoterapia.
Si tratta di una pratica volta al trattamento dei disturbi mentali o dei problemi psicologici basata primariamente sulla relazione interpersonale e il dialogo. Essa può rivolgersi, a seconda della finalità e della tecnica utilizzata, all’individuo, alla coppia o alla famiglia, ma esistono anche forme di psicoterapia che si svolgono in gruppi omogenei per problematica trattata o per altre caratteristiche.
Sebbene esistano diversi orientamenti teorici alla base delle varie forme di psicoterapia e da essi derivino tecniche e approcci relazionali differenti, la premessa che le accomuna è la necessità di una buona motivazione del paziente ad affrontare il suo malessere attraverso questo strumento e la creazione di una solida alleanza tra terapeuta e paziente finalizzata al raggiungimento del comune obiettivo di un maggior benessere psicologico di quest’ultimo. Il fatto che lo strumento principale della psicoterapia sia la relazione interpersonale implica infatti che ci si impegni reciprocamente in un percorso costituito da una serie di incontri, nel corso del quale si perverrà a comprendere insieme il significato che assumono il sintomo, il malessere o il problema relazionale all’interno della storia di vita del paziente.
La finalità della psicoterapia è quella di ricostruire, in un contesto relazionale caratterizzato da fiducia, riservatezza, rispetto e assenza di giudizio, la storia del disturbo, per comprendere come e perché si è sviluppato. La nostra mente, infatti, non agisce a caso e anche ciò che ora ci può apparire insensato o controproducente, ha svolto in passato e talvolta continua a svolgere una funzione ben precisa all’interno della personalità. È la comprensione di questa funzione l’obiettivo primario della psicoterapia e solo attraverso un processo ben condotto di comprensione del sintomo psicologico, della sua origine e funzione è possibile lasciarlo andare in favore di modalità più adattive e funzionali nel presente. Questo avviene attraverso un lavoro congiunto del paziente, che è il massimo esperto della propria storia e della storia del suo sintomo, con un professionista. Quest’ultimo è adeguatamente formato sui meccanismi di funzionamento della mente umana e sui modi in cui essa può reagire ai vari contesti relazionali in cui si è sviluppata e alle circostanze traumatiche che ha vissuto. Quello del paziente non è dunque un ruolo passivo, come può essere quello che si ha nella relazione medico-paziente, ma un ruolo profondamente attivo, in cui si lavora insieme per uno scopo comune. Questo impegno reciproco potrà condurre a risultati profondi e duraturi.
La psicoterapia serve? Aiuta davvero?
Un percorso di terapia ben condotto può realmente cambiare il corso di un’esistenza. Comprendere il proprio funzionamento psichico al fine di rimuovere gli ostacoli al raggiungimento del benessere consente spesso non solo di superare il disagio che ha condotto in terapia, ma anche di:
La personalità di un individuo è infatti composta dall’insieme delle sue caratteristiche innate (il temperamento) e delle strutture difensive che egli ha sviluppato nel corso della sua esistenza per far fronte agli eventi di vita che ha attraversato. Alcune di queste difese possono essere proprio quelle che, se da un lato esprimono oggi il malessere, dall’altro faticano a “lasciare la presa”. Occorre dunque un approccio che tenga conto dei tempi fisiologici di elaborazione della mente, che non corrispondono necessariamente a quelli più rapidi della volontà e della ragione.
A cosa serve la psicoterapia? In fondo se bastassero la ragione e la volontà per cambiare le cose, non esisterebbe neanche il malessere psicologico! Il terapeuta formato conosce questi meccanismi e sa accompagnare il paziente stando al suo passo, come fa una buona guida.